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Storia

Alle origini della nostra Montegranaro

Di Daniele Malvestiti. Ci si chiede: quando è nato, quando è stato fondato Montegranaro? Non esistono documenti che possano testimoniarne la fondazione. Una cosa è certa. In questo nostro territorio l’economia agricola è stata prevalente per secoli e sempre molto abbondante è stata la produzione di grano, da qui il nome antico di “mons Granarius” che significa appunto “monte-g r a n a i o”, a significare l’abbondantissima raccolta di quel cereale. Il nome si trasformò poi in “Montegranario” per poi diventare definitivamente Montegranaro. La tradizione vorrebbe che in questa nostra terra al tempo dei Romani fosse esistita la Città di Veregra. Non è vero. Studi successivi rivelano che Veregra molto probabilmente era in Abruzzo. Ma ne parleremo un’altra volta. La presenza di alcuni granai romani descritti nel passato ci fanno invece pensare all’antica mons Granarius come ad uno dei depositi di grano, orzo e biada che i Romani disseminavano in posizione strategica per l’approvvigionamento dei legionari. Solo molti secoli dopo, nel IX secolo, nelle pergamene appare finalmente la prima notizia scritta del nostro paese. Si legge infatti nei documenti che nell’anno 829 d.C. gli Imperatori del Sacro Romano Impero fecero una donazione alla potentissima Abbazia benedettina di Farfa, ancora esistente vicino Rieti. In quella occasione moltissimi beni vennero donati a quell’Abbazia, beni che comprendevano chiese, castelli, terreni, mulini, boschi, case, corti, animali d’allevamento, ecc. Nel lunghissimo elenco di beni donati, si legge che all’Abbazia venivano donate anche tre chiese del piccolo villaggio di monte Granaro, ciascuna, naturalmente, con tutti i rispettivi possedimenti, come terreni, case, animali, ecc. Si legge infatti nella pergamena: “In monte Granario ecclesiaes tres…”. Pur non essendo indicata l’intitolazione, possiamo ragionevolmente riconoscere le chiese in quella di San Pietro, in quella dei Santi Filippo e Giacomo ed in quella di Santa Maria. Quella di San Pietro era collocata nella stessa via di oggi, ma più in alto, verso il sottopassaggio di porta Marina, la sede di quella dei Santi Filippo e Giacomo era dove oggi è la cripta di Sant’Ugo e quella di S. Maria era probabilmente nello stesso luogo di oggi. Naturalmente le chiese di quasi 1200 anni fa non erano certo quelle di oggi ma, comunque, ciascuna delle tre, possedeva case coloniche, allevamenti di maiali, stalle di bovini, ma soprattutto campi coltivati a grano. La “monte Granario” del IX secolo, citata dal Chronicon Farfense, era dunque definita una “corte granica” dell’Abbazia di Farfa, un possedimento che produceva frumento, grano, biada ecc. Ma i Benedettini potevano da soli lavorare tutte quelle terre? Certo che no allora, i poderi e le vigne di Montegranaro appartenenti a Farfa che erano attorno al paese, furono ceduti in enfiteusi ad altrettanti montegranaresi, con pagamento di canoni genericamente non elevati. Estese proprietà, compresa la chiesa di S. Michele Arcangelo e due mulini, che invece si trovavano nella piana di Chienti, furono invece date in enfiteusi al Comune stesso di Montegranaro. Così, con tali pagamenti, il Comune ed i contadini godevano del ricavato dei beni, ma la loro proprietà restava all’Abbazia. Questa pratica durò non poco tempo, ma almeno tre secoli e sapete come andò a finire? Nel 1568 il Comune si rivolse al tribunale perché, dopo 326 anni, ritenne di aver diritto di acquisire per usucapione tutte le proprietà dell’Abbazia di Farfa, che come sappiamo si trovavano nella piana del Chienti. L’Abate di Farfa si oppose, ma alla fine il sommo tribunale dello Stato della Chiesa dette ragione al Comune di Montegranaro, che divenne così proprietario di quelle terre, della chiesa di S. Michele e di quei mulini.